mercoledì 8 gennaio 2014

L'ambiente e le nostre libertà

[...] Le irresponsabili mutazioni dell'ambiente e del paesaggio non innescano solo un ampio arco di patologie psicofisiche, generano anche una diffusa patologia sociale. Prima di tutto, accentuano le disuguaglianze, perché colpiscono in modo assai più grave famiglie e cittadini meno abbienti, costretti da spietati meccanismi di mercato ad abitare in case sempre più piccole e infelici, in periferie senza carattere e senza verde, spesso drammaticamente lontane dai luoghi di lavoro e con trasporti inadeguati, quasi sempre prive degli spazi di relazione che per molti secoli hanno costruito il cuore e il vanto delle aggregazioni urbane in Italia. Non meno importante è quello che un sociologo olandese, Kees Keizer, ha chiamato «diffusione del disordine». Chi vive in un quartiere brutto, sporco, mal tenuto, nel quale non riconosce nulla dei propri orizzonti interiori, niente in cui identificarsi, tende a violare ogni norma e ogni legge. Al deterioramento dell'ambiente urbano si aggiunge così il degrado provocato dai singoli, che può essere innescato da un'inconsapevole rabbia contro la propria forzata emarginazione. E' il principio della «finestra rotta» (Wilson e Kelling); ogni vetro non sostituito invita a tirare un sasso su quello accanto, e presto l'intero fabbricato va in rovina. Secondo gli studiosi di environmental criminology, il degrado del paesaggio, specialmente urbano, è un importante fattore (situational precipitator) che innesca comportamenti criminosi o violenti; al contrario, il miglioramento della situazione ambientale, cioè della qualità della vita, riduce o annulla l'incidenza dei comportamenti deviati.
Questi riflessi condizionati da un ambiente devastato sono l'esatto opposto del gesto amoroso del contadino, che passando da un viottolo non suo rimette a posto la pietra che stava cadendo da un muretto a secco. L'ambiente che noi abbiamo creato a sua volta ci condiziona: ci fa membri di una comunità se possiamo riconoscerci in esso, ci spinge alla violenza quando quel che ci circonda è alienante. La piccola criminalità diffusa è molto maggiore nei quartieri più degradati, nelle periferie più squallide: «quando una norma di convivenza sociale [e tale è la gradevolezza del paesaggio] viene violata, la gente tende subito a violare altre norme o regole, e il disordine sociale si diffonde» (Keizer). Ci domina, che lo vogliamo o no, quello che lo psicologo italoamericano Philip Zimbardo ha chiamato the power of the situation: più degradata è la situazione in cui viviamo, più quel degrado è destinato a crescere. Si diffonde la criminalità, l'«effetto Lucifero» (la formula è, ancora, di Zimbardo) emargina chi in altre situazioni sarebbe un buon cittadino, lo trasforma in 'delinquente', genera un diffuso sentimento di insicurezza, spesso indirizzato 'dall'alto in basso', dai più abbienti che vivono nelle case più belle e nei quartieri migliori contro i poveri, i recenti immigrati, gli emarginati che dai loro ghetti potrebbero invadere la loro quiete. Le forme più correnti (e banali) dell'ingegneria sociale prevedono di rispondere al degrado socioambientale con deterrenti o con la repressione, fino alla recente istituzione delle 'ronde'. Sarebbe molto più saggio e lungimirante puntare, invece, su strategie di prevenzione: la cura dell'ambiente, del paesaggio, delle città, della qualità della vita, che da sempre è il miglior argine al degrado della società . In questo senso potrebbe, anzi dovrebbe, essere riformulata la nuovissima nozione giuridica di «comunità di vita»; quel che importa non sono tanto i 'diritti propri' di piante, animali, paesaggi, quanto il legame intrinseco fra le persone dei cittadini come individui e come collettività organizzata e l'ambiente in cui essi necessariamente dispiegano la propria vita, e che pertanto condiziona (in positivo o in negativo) le loro libertà.

Salvatore Settis, Paesaggio, Costituzione, cemento - La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile, Einaudi, 2010.


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